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VITA GRAMA

Nell'inverno del '43 cominciò la vita grama a Marcorengo. Con tutti i giovani del paese sotto le armi, il paese stava cominciando a soffrire: meno braccia nei campi significava meno grano e meno granoturco, meno pane e meno polenta, meno foraggi per gli animali nelle stalle e meno legna per scaldarsi durante l’inverno.

Si sperava che la guerra finisse, invece i nostri uomini erano finiti in Russia. L'ultima lettera di mio fratello diceva: "Cara mamma e caro papà, fa freddo, dicono che qui ci sono 30 sotto zero, mandatemi qualcosa per coprirmi. Cara mamma e caro papà, qui ho tanta fame, mandatemi qualcosa da mangiare.". Non tornò, più, fu dato per disperso nella ritirata di Russia; soltanto qualche anno fa abbiamo saputo che il suo corpo era stato trovato in una fossa comune. Adesso almeno sappiamo che è morto, ed è sepolto in terra russa.

A Marcorengo l'anno dopo fu pure peggio. Ricordo che mio padre aveva infilato un po' di grano da macinare in due damigiane, che poi aveva sotterrato nell'orto, per nasconderlo. A volte andava a prenderne qualche manciata, poi lo si pestava, poi con la farina si facevano le tagliatelle. Tutto di nascosto, guai se fossimo stati scoperti. A volte si scappava nei boschi, o nella stalla di Cantagrillo, qualcuno aveva portato là anche le mucche, per salvarle dalle razzie.

Mangiare ce n'era poco, si condiva senza olio, si mangiava senza zucchero e senza sale. Ormai si nascondeva tutto. I pochi salami che erano rimasti dalla macellazione del maiale venivano nascosti nella legnaia, le cantine erano vuote, si mangiavano solo patate quando c’erano.

Poi cominciò la paura dei rastrellamenti: a volte passava qualche gruppo di partigiani, chi poteva li aiutava, ma si temevano le rappresaglie dei tedeschi e dei repubblichini, guai se qualcuno avesse fatto la spia. Si sapeva della distruzione di interi paesi.

L'unico aspetto positivo era la "curt", il cortile. Piccolo mondo chiuso, dove però tutte le case erano aperte, dove ci si conosceva bene, dove ci si aiutava. Anche perché, senza aiuto reciproco, la vita sarebbe stata ancora peggio. Anche se peggio di così era davvero difficile.

Qualcuno, tra cui mia sorella, era scappato da Torino, dove i bombardamenti erano tremendi e quotidiani, e si viveva in cantina, tra la paura il freddo e la fame. Mia sorella se la fece a piedi da Moncalieri a Marcorengo, arrivò a casa e trovò solo la disperazione ed il dolore della famiglia, ma almeno era a casa sua, tra la sua gente.

La prima persona che incontrò, su per la salita del paese, fu Don Gilardi, allora parroco, che le chiese da dove veniva, e quasi non credeva che fosse arrivata fin lì a piedi...

Ancora un inverno terribile, quello del '45, si sentiva parlare di morti, di vendette, di lutti, voci incontrollate, paure sempre più diffuse, per la propria vita, per il proprio futuro.

Poi venne la primavera, e la fine della guerra. Ma la pace non era facile da ritrovare...

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