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IL PONTE (1)

Attraversare il ponte di Chivasso è come entrare in un altro mondo: prima c'è la grande (?) città, il suo traffico, il suo caos, i suoi ingorghi. Poi c'è l'autostrada, la velocità che impedisce di vedere, di osservare, un altro po' di traffico, qualche semaforo, il centro città a due passi, ed ecco il ponte. Veramente ammirevole averlo ricostruito, dopo l'inondazione, merito dei sindaci e della popolazione, che l'hanno fortemente voluto!

Ma, attraversato il ponte, cambia il paesaggio: non più periferie industriali, sensazione di ritmi accelerati, ma finalmente il dolce susseguirsi delle colline a portata di mano, la tensione diminuisce, la vita inizia a scorrere più normalmente. Dopo un po', si percepisce il Po, appena più in là, quasi fosse un compagno di viaggio... E si ritrovano i paesi noti, quelli della gioventù: S. Sebastiano, Lauriano, Monteu da Po, Cavagnolo, Brusasco. Ognuno con la sua storia, le sue bellezze, le sue specialità. Aspetti semplici, quasi scontati, ricchi di buone sensazioni per chi voglia dedicare qualche istante semplicemente all'osservazione...

Perché in questi paesi, in queste colline, è possibile ritrovare le proprie radici; ed anche qualche frammento dal sapore antico... e ci sono dei buoni ristoranti ed un buon mangiare... e, a cercarlo, c'è anche dell'altro...

A Cavagnolo c'è il bivio, come quasi sempre nella vita: restare in pianura, quella delle risaie e delle strade diritte come fusi, oppure entrare nella valle. Quasi sempre, l'auto si dirige verso Marcorengo, che è un piccolissimo paese sul crinale della collina: gode di una magnifica vista su tutta la pianura padana, ed anche sulle colline del Basso Monferrato. E' così piccolo da non essere segnato sulla mappa esposta nella Sala delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani. Il che conferma la leggenda, secondo cui il nome Marcorengo sarebbe la traduzione della frase detta da Gesù a S Pietro, quando vide il paese: "marclu nèn, non segnarlo.". Non c'è più il mondo contadino, la sua fatica e le sue tradizioni, c'è ancora qualche anziano che se ne ricorda, c'è ancora qualcuno che ogni tanto si siede in cortile, su una panca, e prova a riflettere. Forse pensa a quello che ha fatto nella giornata, o forse nella vita, a quello che c'era una volta e non c'è più.

Quand'ero ragazzo, i vecchi, gli anziani, erano al centro del mondo, noi si stava ad ascoltarli a bocca aperta, un po' troppo creduloni, sicuramente, nelle lunghe notti invernali, nel chiuso delle stalle. Adesso, provo a rivolgere qualche domanda ad uno dei pochi anziani rimasti: "Senti, ma cosa ti manca del mondo contadino, quello che non c'è più?" "Molte cose... Ma soprattutto mi manca il sentirmi parte di qualcosa, uno fra tanti, tutti con gli stessi problemi, a scambiarsi esperienze, qualche volta ad aiutarsi. Non esiste più niente, di tutto questo. Allora c'era la miseria, e certo non vorrei tornarci, adesso siamo tutti più ricchi, adesso la roba si spreca, ma quel tipo di scambio non esiste più."

Di tutti gli argomenti che poteva toccare, ha parlato di un valore...

"Una volta, i campi erano pieni di persone che li lavoravano, le strade erano percorse dai carri agricoli trainati dalle mucche, tutt'altro che pazze, praticamente erano bestie di casa, e le case erano abitate da molta gente. Oggi si vede passare qualche macchina, molto veloce, non si vede nessuno nei campi, e molte case sono vuote. Eppure c'è, per fortuna di tutti, molto più benessere! Ma perché tutto, o quasi, è stato abbandonato?"

Non so rispondere. Certo, non mancano le ragioni sociali, anche storiche, la tecnologia, la fabbrica, l'industrializzazione, il boom economico eccetera.

Ma agli anziani manca qualcosa che non è materiale.

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